L’organista oggi viene classificato come un individuo strano; spesso lo si accosta
alla figura del sacrestano o il maldestro autodidatta che tortura le tastiere o, nel
migliore dei casi ad un pianista professionista che suona inserendo tutti i registri
a caso.
L’organista, quello vero, non è il sagrestano di cui sopra; è un esecutore
speciale e, la sua particolarità che molti ignorano, è il suo modo di suonare lo
strumento. È l’unico strumentista che, mentre suona, utilizza le due mani, spesso su
differenti tastiere, ed i due piedi per suonare su una pedaliera di legno che,
di fatto, è una ulteriore tastiera. Per questo motivo gli spartiti per organo sono
scritti su tre righi: due per le mani e uno per i piedi.
Il volume sonoro dell’organo dipende dai vari registri (variano da strumento a
strumento) che sono scelti e azionati sempre dall’esecutore.
Non tutti sono al corrente di questa particolarità e non tutti sanno come sia
complessa la grande letteratura organistica, anche dal punto di vista esecutivo.
Sono necessarie talvolta abilità quasi acrobatiche e l’organista, mentre esegue le
grandi pagine organistiche della nostra storia della Musica, spesso appare come
una sorta di polipo impazzito.
Gli occhi dell’organista sono quelli, tra i musicisti, che devono tradurre in musica
il maggior numero di eventi musicali nell’unità di tempo e trasmettere al cervello
il maggior numero di dati da convertire in esecuzione musicale tramite un
processo motorio che investe tutti i quattro arti contemporaneamente.
Per capire tale miracolo, consiglio sempre di vedere da vicino un’esecuzione
professionale per rendersi conto veramente di quanto il corpo
dell’esecutore interagisca fisicamente con lo strumento.